giovedì 17 maggio 2012

NERONE: DUEMILA ANNI DI CALUNNIE


Nessun personaggio storico, a esclusione forse di Adolf Hitler, ha mai goduto di così cattiva stampa come Nerone, ritenuto addirittura l'Anticristo da alcuni autori cristiani come Vittorino, Commodiano e Sulpicio Severo. Egli fu, in realtà, un grandissimo uomo di Stato: amante della musica, della poesia, della recitazione, della scienza e della tecnica, si fece promotore delle più ardite esplorazioni e durante i quattordici anni del suo regno l'Impero conobbe un periodo di pace, di prosperità, di dinamismo economico e culturale quale non ebbe mai prima. Certamente fu anche un megalomane, un visionario, un psicolabile, schiacciato da una madre autoritaria, castratrice e ambiziosa che gli caricò sulle spalle, a soli diciassette anni, l'enorme peso dell'Impero, mentre lui avrebbe forse preferito dedicarsi alle arti predilette. Ma ugualmente fu un monarca assoluto che usò il proprio potere in senso democratico, governando per il popolo contro le oligarchie che lo opprimevano e lo sfruttavano.




Nessun personaggio storico, se si esclude, forse, Adolf Hitler, ha mai goduto di cosi cattiva stampa come Nerone. Alcuni autori cristiani, come Vittorino, Commodiano, Sulpicio Severo, ritennero che fosse addirittura l'Anticristo e che, come tale, sarebbe resuscitato a tempo debito. Questa convinzione trovò un avallo nell'Apocalisse di Giovanni dove si parla della Bestia il cui numero e "666" sommando il valore numerico delle lettere che, in ebraico, compongono il nome «Nerone Cesare» si ottiene, appunto, tale cifra. Più tardi sant'Agostino e san Crisostomo dovettero combattere questa tesi, vagamente blasfema, ma ne conclusero che se Nerone non era proprio l'Anticristo ne era comunque una sorta di anticipazione e di prototipo. E per tutto il Medioevo la leggenda di Nerone- Anticristo ebbe larga presa: papa Pasquale II (1099-1118) si convinse che i corvi che gracchiavano sul noce vicino alla tomba dei Domizi-Enobarbi (da cui l'imperatore discendeva) fossero demoni al servizio di Nerone o lo stesso Nerone in attesa di reincarnarsi. Perciò abbatté noce e tomba e al loro posto eresse una cappella che si sviluppò poi nell'attuale chiesa di Santa Maria del Popolo. Anche uno scrittore della finezza di Renan, e siamo quasi alla fine dell'Ottocento, adombrò, in una sua opera, la tesi che Nerone fosse l'Anticristo o un suo stretto parente. La fortissima avversione dei cristiani, antichi e moderni, nei confronti di Nerone, ritenuto il primo persecutore della loro fede, ha da sempre trovato facili pezze d'appoggio in Svetonio e Tacito che fanno di questo imperatore un ritratto a
tinte fosche, anzi foschissime. Peraltro gli storici cristiani non hanno mai tenuto minimamente conto della personalità e dell'ideologia dei due autori. Svetonio, eques romanus di vedute ristrettissime, come del resto quasi tutti quelli del suo ceto, non solo un indefesso collezionista di pettegolezzi, la cui veridicità va vagliata di volta in volta con la massima cura, ma non è assolutamente in grado di capire una politica di ampio respiro quale fu quella che Nerone cercò di attuare. Di ben altra levatura, naturalmente, è Tacito. Ma Tacito apparteneva a quella classe senatoriale, latifondista e parassitaria, contro la quale Nerone aveva condotto (come già prima di lui, ma con minor efficacia, Caligola) una lunga battaglia per ridurne potere, ricchezze e privilegi a favore degli elementi attivi della società (oggi si direbbe i ceti emergenti: liberti, commercianti, cavalieri) e della plebe più diseredata. Tacito a quello che, in termini moderni, si può definire un perfetto reazionario, nostalgico dei costume di una Repubblica che non esisteva più da tempo, e vede quindi come fumo negli occhi il grandioso tentativo neroniano di trasformare, strutturalmente e culturalmente, la società romana per adattarla alle dimensioni di un Impero che ormai occupava quasi l'intera Europa, buona parte del Medio Oriente, il Nord Africa e non poteva perciò più essere guidato con la visuale ristretta di un popolo di contadini come era stato ai tempi della Repubblica. Ma con Nerone la storiografia cristiana non va per il sottile, prendendo per oro colato tutto ciò che scrivono Svetonio e Tacito a proposito delle nefandezze dell'imperatore, salvo negar loro la validità di fonti quando, con altrettanta disinvoltura, attribuiscono ai cristiani ogni sorta di turpitudini (per Flaminia invisoso, «odiosi per i loro delitti», definisce Tacito). Che non è esattamente un modo corretto di procedere. E tuttavia a proprio questa storiografia cristiana o di ispirazione cristiana che, per quanto riguarda le vicende dell'Impero romano, è penetrata
profondamente nelle nostre scuole medie, inferiori e superiori, e tuttora vi detta Legge. Cosi, quando si parla di un imperatore come Costantino, poiché fece del cristianesimo la religione di Stato, si sottace che, fu assassino del figlio e della moglie e gli si da una caratura storica molto più elevata di quella che in realtà ebbe, mentre Nerone resta sempre e solo un mostro. Il colpo definitivo all'immagine di Nerone lo ha poi dato Hollywood con i suoi film «pataccari» sull'antica Roma, a cominciare da Quo vadis? con la memorabile interpretazione di uno scatenato Peter Ustinov nei panni dell'imperatore. Nell'immaginario collettivo, a livello del pubblico di cultura media e anche medio-alta, Nerone è rimasto quindi l'imperatore incendiario, matricida, uxoricida, fratricida, assassino del suo precettore e di chissà quanti altri, folle, sanguinario, crudele, inetto, molle, sessuomane, debosciato. La storiografia moderna dà però un ritratto molto equilibrato dell'imperatore "maledetto". Sono stati soprattutto gli storici anglosassoni, francesi, romeni (sembra strano ma il più importante «Centro di studi neroniani» sta a Bucarest), oltre all'italiano Mario Attilio Levi, a sottoporre a una severa revisione critica la figura e l'opera di Nerone. E l'immagine che ne viene fuori, almeno per quello che riguarda l'uomo pubblico, è molto diversa, anzi, si può dire, del tutto contrastante con quella che se ne ha abitualmente. Ma, si chiederà il lettore, come si fa a dire qualcosa di diverso e di nuovo su Nerone se le fonti, gira e rigira, rimangono sempre quelle, Svestono, Tacito, in misura minore Dione Cassio, e tutti e tre ne parlano quasi sempre malissimo? Attraverso quella Branca della storiografia moderna (da cui avrebbe qualcosa da imparare anche il giornalismo) che si occupa del controllo delle fonti». Innanzi tutto si collocano gli autori nel periodo storico in cui scrissero, si individuano le loro ideologie, si verificano le contraddizioni interne delle loro opere. E di contraddizioni, di indiscutibili
deformazioni, di palesi tendenziosità, di falsità evidenti a prima vista, Tacito e Dione Cassio, per non parlare di Svetonio, sono zeppi. Poi si studiano le fonti per cosi dire oggettive»: la monetazione, i reperti archeologici, le epigrafi, le iscrizioni, i papiri, le circolari che dal centro dell'Impero si irradiano verso la periferia.
Cosi come si studiano i testi lettera rilegati direttamente o indirettamente ai periodi in questione. E poi si guardano i risultati concreti che l'imperatore ottenne, curandosi meno delle sue inclinazioni sessuali. Ed è un fatto che quando l'opera di Nerone pub essere sottoposta a questo controllo incrociato egli ne esce quasi sempre bene, mentre quando a abbandonato solo ai pettegolezzi di Svetonio o alla faziosità di Tacito ritorna a essere, quasi sempre, il «mostro» della leggenda. La realtà e che Nerone fu un grandissimo uomo di Stato. Durante i quattordici anni del suo regno l'Impero conobbe un periodo di pace, di prosperità, di dinamismo economico e culturale quale non ebbe mai né prima né dopo di lui Certamente fu un megalomane, un visionario, uno che, direbbe Nietzsche, pensava in grande stile e che cercò di modellare il mondo sulle proprie intuizioni e immaginazioni, l'artefice di un'arditissima rivoluzione culturale con la quale intendeva dirozzare i romani e i indirizzarli verso la mentalità e i costumi ellenistici, molto più civili e raffinati. Fu un uomo in grande anticipo sui suoi tempi, un bizzarro incrocio fra un principe rinascimentale, dalla cultura e dai gusti sceltissimi, a volte persino barocchi, e un teppista, un ragazzaccio avido di vita e di piaceri. Fu anche un esibizionista, un inguaribile narciso e, con tutta probabilità, uno psicolabile schiacciato prima da una madre autoritaria e castratrice e poi dall'enorme peso che, a soli diciassette anni, per le ambizioni e le mene di Agrippina, gli era stato scaricato sulle spalle mentre lui avrebbe forse preferito dedicarsi alle arti predilette. Fu un sognatore che, mentre il mondo già gli
crollava addosso, fantasticava di potersi pur sempre guadagnare da vivere con la propria arte. Quel che comunque è certo e che questo imperatore chitarrista, cantante, poeta, attore, scrittore, auriga, curioso di scienza e di tecnica, fautore delle pie ardite esplorazioni, autore e vagheggiatore di progetti grandiosi, fu un unicum non solo nella storia dell'Impero romano. Come statista ci sono poi alcune caratteristiche che possono solleticare la sensibilità moderna. Fu un monarca assoluto che usò del proprio potere in senso democratico: non governò solo in nome del popolo, come voleva l'ipocrisia augustea, ma per il popolo contro le oligarchie che lo opprimevano e lo sfruttavano. E per avere consenso del popolo - oltre che, beninteso, progettare e attuare misure molto concrete - inaugurò quella che oggi chiameremmo la politica- spettacolo. Nerone fu un grande showman. Le élite economiche e intellettuali del tempo non lo capirono, oppure lo capirono fin troppo bene e per questo lo osteggiarono ferocemente. I senatori perché vedevano messi in pericolo il loro potere, le loro ricchezze, loro dolce far niente. Gli intellettuali perché, da bravi piccolo-borghesi, ambivano come sempre a una sola cosa: entrare nel giro dell'aristocrazia e condividerne i privilegi. Chi lo capì fu la plebe romana che lo amò sempre moltissimo. Tanto che se esiste una leggenda negativa su Nerone ce ne fu anche una positiva coeva alla sua fine. Anche la plebe romana, per motivi diametralmente opposti a quelli degli autori cristiani, si rifiutò di credere che l'imperatore fosse morto davvero e coltivò a lungo l'illusione che, prima o poi, sarebbe tornato per renderle giustizia. Un primo «falso Nerone» fece la sua apparizione due anni dopo la morte dell'imperatore creando una grande agitazione popolare sia a Roma sia in quella Grecia che egli aveva amato e reso libera. Poi ne venne un secondo. II terzo e ultimo «falso Nerone» comparve nell'88, vent'anni dopo la sua morte. E per molto
tempo ancora il popolino di Roma, in primavera e in estate, continuò a portare fiori sulla tomba dell'uomo il cui nome sarebbe stato poi esecrato, maledetto e dannato in saecula saeculorum. 


fonte M.Fini Nerone duemila anni di calunnie (libro)